sabato 29 aprile 2017

LA NATO: L’IPOTECA PIÙ PESANTE SULLA COLLOCAZIONE INTERNAZIONALE DELL’ITALIA



di Angelo Baracca

Angelo Baracca[1], da decenni è impegnato in una intensa attività sul nucleare e ultimamente sui nuovi negoziati ONU (vedi Dossier su Mosaico di Pace curato insieme ad Alex Zanotelli).


Sono sempre stato profondamente convinto che l’adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica costituisca la più pesante ipoteca sulla collocazione internazionale del nostro paese (ma anche su molte vicende interne), e ovviamente su tutti gli aspetti che riguardano la politica militare: l‘esercito, gli armamenti, le basi militari, le missioni all’estero, per non parlare delle guerre dell’Italia, ma anche della politica interna (non a caso gli interventi militari del nostro paese all’estero sono sistematicamente appoggiati da tutte le maggiori forze politiche, di destra e di sinistra). Ritengo quindi che per affrontare il problema dell’«Italia in Guerra» in termini efficaci, e soprattutto per mettere in discussione questa scelta (perché di questo si tratta, e non di una collocazione oggettiva) del nostro paese, sia assolutamente necessario riaprire una riflessione e un dibattito a livello di massa in primo luogo sulla nostra adesione alla nato, e in secondo luogo sulla natura e la legittimità stesse dell’Alleanza Atlantica (il capitolo di Lau e Giangiacomo nel presente volume analizza in modo esauriente il problema della legittimità dell’adesione dell’Italia alla nato dal punto di vista giuridico-costituzionale, in un certo senso complementare al mio): la decisione dell’allora pci di accettare l’«ombrello della nato» non fu, a mio avviso, solo un errore, ma fu una scelta nefasta, che ha avuto effetti devastanti sull’intera strategia e collocazione della sinistra italiana, ingannando con una profonda mistificazione e disinformazione migliaia di militanti e di semplici cittadini. I giovani di oggi, poi, cresciuti dopo quella svolta, hanno “assimilato la nato con il latte materno”, forse non hanno la più pallida idea di che cosa sia quest’Alleanza (ma forse anche gran parte dei cittadini adulti), e la considerano una cosa «naturale» … come la Coca-Cola (che peraltro esercita un pesante condizionamento sulle politiche mondiali, tanto più pericoloso in quanto ormai ignorato e introiettato da tutti!). Per questo, pur non essendo un politologo, e tanto meno un esperto di problemi della nato, mi propongo di dare un contributo per cercare di tirare fuori anche questo scheletro dall’armadio (uno ulteriore, che si affianca all’«Armadio della vergogna», la cui “riscoperta” ha purtroppo avuto conseguenze molto limitate sull’individuazione e la condanna delle stragi nazifasciste, ancora una volta per responsabilità di tutte le forze politiche).
Non ho nessuna pretesa di presentare i lineamenti di una storia rigorosa dei rapporti tra l’Italia e la nato, o della politica estera o militare italiana. Quelle che propongo sono riflessioni tese a mettere in luce e collegare tra loro aspetti in primo luogo politici, e quindi riflettono inevitabilmente (o volutamente) punti di vista che ritengo utili a questo fine, senza timore di sbilanciarmi in valutazioni che possono anche risultare discutibili, né preoccuparmi che possano contenere qualche imprecisione, e sicuramente lacune o limiti di prospettiva. Anche i riferimenti bibliografici riflettono una scelta personale che non ha nessuna pretesa di completezza, ma temo che siano purtroppo poco noti al grande pubblico. Mi auguro che i rilievi che senz’altro potranno venire mossi a queste riflessioni si trasformino in ulteriori stimoli per riprendere un dibattito concreto, che ritengo più che mai necessario ed urgente.
Vorrei cominciare proprio con una considerazione di fondo: l’Alleanza Atlantica è indiscutibilmente controllata dagli Stati Uniti, la cui Amministrazione precedente (ma forse anche quella attuale) è responsabile di crimini verso l’umanità di portata storica: esserne stati e rimanerne devoti sudditi significa essere stati complici di un criminale di guerra (senza sminuire i crimini commessi indiscutibilmente da quasi tutti i governi degli usa, dai colpi di stato e le macellerie delle dittature sudamericane, alle guerre di Corea, in Vietnam, in Iraq, ed oggi in Libia, per citare solo alcuni esempi). Non possiamo più tollerare che vi sia chi si dice “di sinistra” ed accetta supinamente tali alleanze oscene e immorali. Anche perché, come discuterò, questa scelta di campo implica continuamente ulteriori complicità e conseguenze gravissime per il nostro paese: errare può anche essere umano, ma perseverare diventa diabolico.

Torbide origini della nostra Repubblica e del clima atlantico

Sono convinto che siamo ancora lontani dall’avere fatto fino in fondo i conti con la nostra storia, il fascismo, il dopoguerra e il riciclaggio dell’ideologia e soprattutto dell’impalcatura politica del fascismo, gli intrighi torbidi e occulti che hanno condizionato la nostra politica interna e la nostra collocazione (in posizione subalterna e appiattita) nel Blocco Occidentale e in funzione anticomunista: dopo la scoperta degli «armadi della vergogna», mentre molti archivi rimangono ancora in larga misura segreti, sono stati aperti squarci veramente inquietanti sulla storia di questo paese, caratterizzata da un vero e proprio «Stato duale»2, con un potere occulto estraneo e contrapposto a quelli della Costituzione formale. Ma anche dalle rivelazioni di quegli armadi si è ben lontani dall’avere tratto tutte le conseguenze, la maggior parte delle indagini e dei processi è bloccata, per volontà tacita e convergente di tutte le forze politiche3. Le rivelazioni che tempo fa sollevarono tanto scalpore (peraltro rapidamente rimosso) sulle operazioni Stand Behind, «Gladio», Stone Axe, non erano che la punta dell’iceberg: solo recentemente è emerso, quasi per caso, dagli archivi del Viminale l’esistenza di un servizio segreto, l’«Anello», che è rimasto completamente occulto ed ha avuto un ruolo decisivo nella storia della Repubblica, le deviazioni dei servizi, la sparizione di documenti, la manipolazione dell’informazione e degli scandali, i depistaggi, l’arruolamento di delinquenti, e via dicendo4.
Credo che per cogliere appieno il significato della genesi dell’Alleanza Atlantica (ma anche del ruolo della mafia nell’Italia del dopoguerra) sia necessario rifarsi al torbido clima e agli intrighi dell’ultimo anno di guerra e i primi anni del dopoguerra. Gli studi di Giuseppe Casarrubea5 hanno iniziato a diradare un sottobosco dai contorni oscuri e inquietanti, in cui in Sicilia (dove lo sbarco alleato giocò un ruolo strategico per tutta l’Europa) si aggirava una miriade di personaggi equivoci, agenti segreti, spie, figuri loschi, repubblichini, mafiosi, veri criminali, banditi (Giuliano è solo il caso più famoso, ma anche Lucky Luciano fu chiamato a dare il suo apporto allo sforzo bellico degli usa6, legato anche al Vaticano): con loro gli Stati Uniti tessevano le loro trame7 e sviluppavano operazioni coperte contro il Partito Comunista Italiano (con l’esistenza perfino di un Esercito clandestino anticomunista, oltre ad una miriade di organizzazioni armate, con più di 100.000 neofascisti in armi8). L’idea eversiva nera sorse nelle alte sfere della rsi9, e la oss (Organization of Strategic Services, sciolta nel 1945 e precursore della cia) avviò una strategia di contenimento delle spinte popolari e progressiste10. Operavano in Italia «gruppi eversivi o similari di cui Gladio sarà, negli anni successivi, il fenomeno più macroscopico»11 (che fu preparato all’inizio degli anni ’50 da una proposta di legge del Ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, padre anche del famigerato Sifar nel 1949). In questa strategia stragista Portella della Ginestra aveva preparato l’attentato a Togliatti dell’autunno 194712, e un filo rosso la collega all’eliminazione di Aldo Moro13 (che Pacciardi aveva esplicitamente proposto fin dai tempi del primo centro-sinistra nei primi anni ’60! 14). «L’Italia è stata il più grande laboratorio di manipolazione politica clandestina. Molte operazioni organizzate dalla cia si sono ispirate all’esperienza accumulata in questo paese, e sono state utilizzate anche per l’intervento in Cile.»15
Malgrado gli anelli mancanti per una ricostruzione definitiva, non è azzardato tracciare un filo nero tra questa fase oscura e gli sviluppi internazionali degli anni successivi. Questa politica degli Stati Uniti in Sicilia dal 1944, infatti, «precede di qualche tempo l’esplosione vera a propria della guerra fredda e fa dell’Italia un importante paese di frontiera tra i due blocchi che si fronteggiano»16. L’Italia fu «un vasto campo di battaglia politica e di intrighi tra le maggiori potenze (Russia, Gran Bretagna e Vaticano)»17. Perfino «l’ingente traffico internazionale di armi destinato ai gruppi sionisti ebraici in Palestina passava per l’Italia ed era direttamente gestito dalle formazioni paramilitari neofasciste»18.
Credo che per cogliere appieno queste vicende sia necessario, d’altra parte, ricordare le esplicite simpatie sempre nutrite dall’establishment statunitense verso il nazismo19, tanto da arrivare a sondare la possibilità di un armistizio con la Germania per ricacciare insieme l’Armata Rossa verso oriente!20 Proprio in questo contesto si conferma il ruolo strategico dello sbarco in Italia21.

Sovranità limitata

1 - I primi 20 anni (1949-1969), l’ordine internazionale uscito dalla seconda guerra mondiale.

Non è certo questa la sede per ripercorrere le vicende politiche, interne e internazionali, che hanno accompagnato la nascita della nato e il suo ruolo successivo, per lo meno durante la Guerra Fredda, su cui esiste un’ampia bibliografia. Credo che la sostanza, per il nostro paese, possa riassumersi dicendo che, cristallizzatasi con l’esclusione delle sinistre dal governo nel 1947 la ferrea fedeltà e subalternità dell’Italia agli Stati Uniti, l’istituzione della nato ingessava i rapporti in una struttura militare vincolante. Sul piano internazionale vi sono pochi dubbi sull’immobilismo, l’inesistenza politica, l’appiattimento del nostro paese: «[…] non solo le forze politiche dominanti rinunciarono ad altro tipo di scelta, ma rinunciarono anche a dare dell’impegno occidentalistico e più specificamente filoamericano un’interpretazione che non fosse puramente passiva, puramente subalterna»22. Ma non meno pesanti sono stati i condizionamenti sulla politica e gli assetti interni. La fedeltà atlantica dell’Italia fu preparata – all’ombra degli «aiuti» del Piano Marshall e delle sirene dell’american way of life, ma anche «comperando» letteralmente partiti e sindacati – e promossa, con l’istituzione di un vero regime, ancorché «democratico» (più stabile di quelli di Franco e di Salazar), «il cui peculiare ‘legame di ferro’ con gli Stati Uniti d’America è a tutto campo e si spinge ben presto a precludere la possibilità di scelte politiche diverse, di discontinuità, pur se sostenute da una nuova maggioranza elettorale. Quando, col Trattato del 1949 e i vari accordi bilaterali, il legame viene esplicitamente formalizzato sul piano militare si hanno cessioni di quote di sovranità in cambio di garanzie contro il nemico esterno e interno, percepito come unico e mortale»23: arriverei a dire che l’Italia ha fornito la più solida garanzia agli usa, assicurando il servile allineamento del territorio strategico forse più importante nel Mediterraneo, quando l’Europa centrale era considerata il teatro di un eventuale scontro militare. In particolare, la «cessione di quote di sovranità» ha avuto conseguenze pesantissime e di scottante attualità: vi ritornerò.
È il caso di ricordare a questo proposito che in occasione dell’adesione al Patto Atlantico la maggioranza dichiarò l’impegno a non concedere basi militari a forze straniere! E così pure che vi era nel dopoguerra una chiara propensione dell’opinione pubblica italiana ad una scelta di neutralità, che poi fu sottilmente manipolata e modificata con la disinformazione, la drammatizzazione del «pericolo rosso» e di inesistenti piani del pci, e con tanti altri mezzi, ideologici a materiali. Mentre l’intervento sovietico del 1956 in Ungheria, indubbiamente drammatico, venne finanche strumentalizzato, i negoziati e le operazioni di installazione di trenta missili Jupiter con testata nucleare in Puglia furono condotti in modo il più possibile riservato24: visti dal nostro governo come «carta politica» per le ambizioni nucleari italiane verso gli usa, essi rendevano il nostro paese un bersaglio vulnerabile e, con quelli schierati in ambito nato in Grecia e in Turchia, concorsero alla «Crisi dei missili» a Cuba del 1962.
Prima di entrare nei punti specifici, vale la pena citare che nei primi anni ’50 si era consumato il fallimento della prima iniziativa apertamente politica della nascente integrazione europea, con la proposta nel 1952 della Comunità Europea di Difesa (ced) che – pure se gravata da profonde ambiguità, e non concepita in alternativa alla nato – avrebbe tracciato una via diversa ed offerto un’occasione per avviare un’integrazione europea che avrebbe avuto conseguenze politiche di enorme portata: la sua decisiva bocciatura da parte del Parlamento francese nel 1954 manifestò il prevalere di nazionalismi radicati, associati ai timori per il riarmo della Repubblica Federale Tedesca; con il risultato, forse paradossale, che, per gli interessi nordamericani, quest’ultima ottenne il diritto autonomo a riarmarsi e fu ammessa nella nato. Ancora più velleitario l’accordo segreto firmato nel 1957 tra Francia e Germania, a cui si aggiunse poi l’Italia, sulla difesa e gli armamenti, che includeva sforzi comuni verso un programma nucleare militare25 (nello stesso anno veniva istituita a Roma l'euratom, European Atomic Energy Commission). L’8 aprile 1958 venne firmato un accordo ulteriore sulla costruzione dell’impianto di arricchimento dell’uranio principalmente militare di Pierrelatte: ma l’accordo fu cancellato quando De Gaulle assunse la presidenza, il 1o luglio 1958. Si può aggiungere a questo proposito l’osservazione che, in tale contesto, anche lo sganciamento della Francia dal comando militare integrato della nato nel 1966, se consentì alla Francia si sviluppare la Force de Frappe, risultò sul piano politico e militare sostanzialmente velleitario. Ma mi sembra significativo, dal nostro punto di vista, citare l’intenzione esplicita di De Gaulle di «recuperare interamente, sul proprio territorio, l’esercizio della sovranità, attualmente compromesso dalla costante presenza di elementi militari alleati ò dall’uso costante del suo spazio aereo»26 (come si può evitare di pensare alla tragedia del Cermis del 3 febbraio 1998?).
Venendo ora ad alcuni snodi cruciali dei condizionamenti della fedeltà atlantica sulla politica interna del nostro paese durante la Guerra Fredda, in termini necessariamente schematici, la prima vicenda di grande rilievo politico fu forse la «trappola» tesa al psi per il suo ingresso al governo. «Il ‘si’ dell’Amministrazione Kennedy all’apertura della sinistra in Italia [primo governo Moro-Nenni] venne dopo un sordo braccio di ferro con il Dipartimento di Stato, e si fece forte dei pareri direttamente espressi da Averell Harriman, da Arthur Schlesinger e da James King nel 1961 dopo attenti studi e ricognizioni di campo della situazione italiana e la constatazione certa dell’evoluzione del psi in senso filoatlantico»27. La «trappola» scattò con la crisi di governo dell’estate 1964, e non fu certo un fatto episodico. Era in corso la nazionalizzazione dell’enel, che i potentati elettrici eredi del fascismo avevano contrastato con tutte le forze. L’omicidio di Enrico Mattei il 27 ottobre 1962; gli intrighi delle «Sette Sorelle» petrolifere; l’attacco di Saragat (manifestamente esecutore di direttive probabilmente internazionali) del 1963 al Presidente del cnen, Felice Ippolito, e il successivo processo che seppellì le aspirazioni nucleari italiane; l’analoga incriminazione di Domenico Marotta, che aveva portato l’Istituto Superiore di Sanità ad alti standard internazionali; la cessione nel 1964 alla General Electric della Olivetti, che aveva raggiunto un livello di leader mondiale nei computer (e la morte sospetta del suo tecnico più qualificato, Chou): tutto ciò configura un’operazione a vasto raggio che tagliò definitivamente le gambe alle aspirazione e ai progetti di uno sviluppo autonomo e avanzato del nostro paese. Il secondo governo Moro-Nenni nacque in modo travagliato, su linee politiche sensibilmente più arretrate, sotto il ricatto della minaccia del colpo di Stato pilotato dal Presidente della Repubblica Segni, che si appoggiò al gen. De Lorenzo e al Sifar: quel servizio segreto dell’esercito che era nato ad opera di Pacciardi «come emanazione diretta del vecchio sim fascista e in un regime di assoluta dipendenza dalla cia»28, 12 giorni dopo l’autorizzazione data dalla Camera dei Deputati ad aderire al Patto Atlantico, e 5 giorni prima che il testo del Patto, già bell’e pronto, fosse firmato a Washington da Sforza. Del Sifar sono ormai in buona parte note non solo le illegalità, ma anche i profondi legami con la nato: una rete organica di legami fra organizzazioni e trame eversive, servizi segreti e occulti, esercito, carabinieri e ufficiali dell’Alleanza per garantire la nostra fedeltà atlantica e arginare i comunisti29.
Così nel 1964 il primo grande partito della sinistra italiana, per entrare nella stanza dei bottoni, veniva portato sotto l’ombrello della nato: nel decennio successivo sarebbe avvenuta la resistibile mutazione genetica del pci. Si potrebbe commentare, in termini generali, come la conversione alla fedeltà atlantica sia stata una condizione posta a tutte le forze che hanno avuto ambizioni istituzionali o di governo: avvenne dopo la caduta del regime franchista per il Partito Socialista spagnolo, il cui rovesciamento di posizione rispetto alla nato determinò l’esito del referendum popolare del 1986, portando anche la Spagna tra le braccia aperte dell’Alleanza; è accaduto più recentemente alla giovane Slovenia, le cui esplicite posizioni favorevoli al disarmo nucleare rientrarono quando si trattò di entrare nella nato30; è accaduto con varie modalità a tutti i paesi dell’Est europeo. La «gabbia» della nato è stata un potente strumento di allineamento politico, ed ha condizionato anche, come sappiamo, il processo di allargamento della ue e i suoi esiti politici.

2. La svolta degli anni Settanta, gli ultimi 20 anni della Guerra Fredda

Gli eventi successivi si collocano nella svolta della politica estera statunitense operata negli anni Settanta da Nixon e Kissinger, l’effimera stagione della distensione e l’avvento della seconda guerra fredda, che segnava la fine dell’ordine delle relazioni internazionali emerse dalla seconda guerra mondiale. Mentre una grave crisi economica investiva gli usa e la finanza mondiale (non convertibilità del dollaro e abbandono del sistema dei cambi fissi), e il rilancio dell’iniziativa internazionale dell’Urss (Sud Yemen, Etiopia, Angola, Afghanistan) e dei paesi di recente indipendenza erodevano il prestigio statunitense, l’Europa si era notevolmente rafforzata (come il Giappone) e manifestava «uno stato di apatia e talvolta un crescente atteggiamento negativo nei confronti della nato»31 ed un certo disimpegno militare, che preoccupava Washington (insieme alla politica regionale della cee). Gli usa cercarono di ricostituire l’interdipendenza occidentale attraverso la nato. Con la guerra del Kippur e la prima crisi petrolifera (1973) l’Atlantico stava inoltre perdendo la sua centralità, che passava al Mediterraneo e al Medio Oriente.
L’Italia mantenne un basso profilo e sembrò subire gli avvenimenti più che giocare qualsiasi ruolo autonomo, proprio in un momento in cui il suo ruolo strategico e militare stava cambiando profondamente: non doveva più limitarsi ad assicurare il fianco Sud, ma diventava il fronte Sud dell’Alleanza (erano anche i prodromi dell’allargamento delle competenze nato nelle outer areas). Così nel 1971 venivano trasferiti a Napoli sia il Comando delle forze alleate dell’Europa meridionale (cincsouth, da Malta), sia il Comandante in capo delle forze navali statunitensi in Europa (cincusnaveur, da Londra), non a caso unificati sotto un ammiraglio statunitense; mentre ad ammiragli italiani venivano affidati il comando alleato delle forze navali nel Mediterraneo, e il Comando del navocformed, una squadra navale disponibile su chiamata. «L’Italia si trovò così in bilico tra due mondi: il primo, quello atlantico, caratterizzato da un alto livello di integrazione istituzionalizzata; il secondo, quello mediterraneo, insieme disorganico e frammentato. La classe politica di governo affrontò il dilemma con il consueto basso profilo … da un lato ribadiva l’intangibilità della scelta atlantica, … dall’altro confermava l’utilità della dimensione bilaterale delle relazioni interstatali nell’area. … Riuscì, in sostanza, ad evitare che la crisi desse luogo ad un ripensamento sulla natura e gli orientamenti della politica estera del paese»32.
Ma «l’Alleanza Atlantica rivendicava il proprio diritto a mantenere la titolarità dell’iniziativa politica nella crisi mediterranea, sovrapponendovi la propria logica …»33. Non appare affatto strano allora che, nel ristagno della nostra politica estera, nuovi orientamenti e nuove dinamiche furono proposti nel 1974 da una nuova generazione di alti ufficiali che giungeva ai vertici delle Forze Armate, fautori di una gestione più tecnocratica ed efficientista della difesa, e ad un ruolo che non si esaurisse nella tradizionale integrazione militare con le forze della nato34. Prese così l’avvio un processo di revisione che nel giro di pochi anni condusse ad una ristrutturazione delle Forze Armate e delle dottrine militari, teso a sviluppare capacità di intervento autonomo in un’area operativa esterna ai rapporti atlantici, di più diretto interesse italiano: nel 1974 vennero pubblicati il Libro Bianco della Marina (che, con il Capo di Stato Maggiore della Difesa ammiraglio Henke, diede vita ad un autonomo dibattito, in potenziale divaricazione rispetto alla politica estera), e il Libro Bianco, che richiedeva un massiccio programma di ammodernamento e riclassificazione delle forze.
In questo contesto stava maturando anche un altro processo di importanza cruciale: la conversione atlantica del pci, che portava a compimento (pur con differenze non marginali) l’allineamento iniziato dal psi dieci anni prima. Questa mutazione genetica si consumava nel XIV Congresso del 1975 – con la relazione di Berlinguer dal titolo a dir poco mistificante «Una nuova tappa nella rivoluzione democratica e antifascista» – nel contesto della proposta del compromesso storico, e in un quadro interno dai contorni torbidi e inquietanti. La proposta di Berlinguer sembrava avere più finalità tattiche che respiro veramente strategico (anche la parola «rivoluzione» subiva una mutazione genetica), rappresentare «il punto d’approdo di un percorso di rielaborazione, ampio ma non sistematico, iniziato già con Togliatti. La prospettiva di un pacifico sviluppo in senso socialista di società saldamente incardinate nel blocco occidentale trovava una compiuta affermazione nell’orizzonte dell’eurocomunismo … [Ne derivava] il paradosso di una linea politica che da un lato mirava alla ricerca di un esito innovativo della distensione (il superamento dei blocchi) e dall’altro ne promuoveva attivamente la dimensione conservativa e stabilizzatrice (la rinuncia alla neutralità, all’uscita unilaterale dalla nato, per non alterare l’equilibrio internazionale)»35. Il pci sembrava rimanere intrappolato dalla sua stessa strategia. In ogni caso, di nuovo il condizionamento atlantico vanificava le aspirazioni di radicale trasformazione e incanalava una strategia istituzionale: ogni tentativo di mutamenti profondi all’interno del paese non doveva mettere in discussione la collocazione internazionale dell’Italia. Mentre l’Amministrazione Kennedy era stata complice dell’operazione di coinvolgimento del psi in funzione di emarginazione del pci, l’ulteriore coinvolgimento di questo partito quindici anni dopo risultò invece inaccettabile sia agli usa che ai partner europei: Moro, l’ispiratore di quest’operazione, doveva essere eliminato36!
E il 27 giugno del 1980 avveniva la strage di Ustica, per la quale i periti di parte hanno appurato, ben prima delle esternazioni di Cossiga, come sempre mirate e accuratamente dosate, il ruolo del nostro paese nel contesto internazionale37, che consentiva a navi ed aerei militari stranieri di scorrazzare indisturbati nei nostri cieli e mari, provocando veri scenari di guerra: che cosa se non questa nostra subalternità consente a Francia e Stati Uniti di tacere con arroganza a qualsiasi richiesta di chiarimento? Come si è ripetuto per il disastro della «Moby Prince» dell’11 aprile 1991 e l’ormai indubbia quanto misteriosa presenza di navi da guerra quella notte nella rada di Livorno38; e per l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nel quadro dei torbidi traffici illegali di armi e di rifiuti tossici. Ormai per questo paese la storia si ripete: le complicità e i depistaggi di servizi, agenti, magistrati, militari (e assassini e aggressioni a testimoni chiave) si coniugano con disegni e complotti internazionali nei momenti più bui della nostra storia. L’«armadio» dei misteri della Repubblica nasconde ancora molte delle pesanti ingerenze internazionali, nelle quali la cia e il Mossad hanno operato impunemente nel quadro della ferrea collocazione atlantica del nostro paese.
Queste vicende si inquadravano nella drastica semplificazione della lettura che Washington dava del complicarsi degli scenari internazionali, riducendoli nell’orizzonte del confronto bipolare, con la conseguente riduzione del riconoscimento dei processi di maturazione politica del Terzo Mondo e dello spazio per una politica europea. Proprio in Europa prese avvio la nuova fase del conflitto, che avvicinò terribilmente la minaccia di un confronto nucleare. Nel quadro di un massiccio riarmo della nato, lo schieramento dei missili ss-20 sovietici a medio raggio, se pure costituivano oggettivamente un problema nuovo, non fu che il pretesto per la decisione del dicembre 1979 di installare 572 nuovi missili Pershing-2 e Cruise39. Appena quattro mesi prima Cossiga aveva presentato il nuovo governo, con un riferimento generico e rituale alla politica estera, che non poteva non essere una copertura per le gravi decisioni che lievitavano almeno dal Consiglio Atlantico di Washington del maggio 1978, come nei mesi successivi il pci denunciava, pur premettendo di non volere «mettere in discussione le alleanze internazionali dell’Italia». La decisione riguardante gli Euromissili venne presentata dal Governo con una irrituale procedura di una mozione parlamentare, presentata addirittura come segno di particolare sensibilità democratica verso il Parlamento, che era sempre stato escluso da qualsiasi informazione e decisione su questioni militari connesse alla nato. Su questo aspetto ritorneremo, ma sembra evidente che la forma del dibattito alle Camere creava un profondo imbarazzo per il pci, mettendo alla prova concretamente la sua fedeltà atlantica e la passata professione di «solidarietà nazionale». La supina approvazione delle direttive atlantiche confermava comunque la completa subalternità dell’Italia e delle sue classi dirigenti, estranee al dibattito strategico. Basti pensare che l’Olanda e il Belgio si sarebbero rifiutati di ospitare i missili loro attribuiti dalla nato.
Nel 1990 esplose il caso della rete clandestina Stay Behind, denominata «Gladio», creata negli anni Cinquanta (non solo in Italia40; nel 1952 la nato istituì un Clandestine Planning Committee): senza volerne in alcun modo sminuire il ruolo, altri servizi occulti hanno giocato un ruolo molto più pesante e concreto nelle vicende politiche e nei misteri irrisolti del nostro paese41.
Si può ricordare un elemento di attualità, sulle responsabilità occidentali nello sviluppo dell’estremismo islamico e nella destabilizzazione di molti paesi mediorientali e nord africani: l’intervista di qualche anno fa all’ex agente della struttura segreta Nino Arconte rivela (o conferma) il coinvolgimento nelle azioni condotte nel Maghreb alla metà degli anni Ottanta in collegamento con gli usa, organizzando movimenti di ispirazione fondamentalista, allestendo campi di addestramento militare, contribuendo alla cacciata del Presidente Bourghiba in Tunisia42.

Basi militari

La «cessione di quote di sovranità» è stata una delle conseguenze più gravi dell’adesione alla nato per il nostro paese, che conta il maggior numero di basi e strutture militari straniere tra i paesi occidentali: il problema è di scottante attualità, per la supina accettazione dell’ampliamento e del potenziamento delle basi di Vicenza e di Sigonella, e dello hub militare di Pisa (con la benedizione del Sindaco del pd), come per l’assenza di qualsiasi iniziativa dei nostri governi, di qualsiasi colore, per la rimozione delle testate nucleari sul nostro territorio (il contributo di Giangiacomo e Lau nel presente volume sviluppa in modo più specifico da un punto di vista giuridico-costituzionale il problema delle basi militari ed altri aspetti qui accennati), malgrado un’iniziativa legale intentata da cittadini italiani, e a differenza di quanto hanno fatto altri paesi della nato, senza provocare drammatiche rotture (si veda lo specifico contributo di A. Baracca e M. Zucchetti nel presente volume). Si potrebbe pensare che questi problemi dipendano essenzialmente dalla nostra completa sottomissione agli Stati Uniti (che è fuor di dubbio), mentre si sottovaluta l’importanza della nostra adesione all’Alleanza Atlantica43. Premesso, infatti, che «talvolta è difficile distinguere se si tratti di una base nato o di una base usa … esistono otto basi usa in Italia»44, «le basi americane non hanno uno status completamente indipendente dalla nato»45: esse cioè «non devono essere considerate isolatamente, ma nel quadro dell’art. 3 del Trattato [nato], con la conseguenza che non ne può essere fatto un uso diverso e indipendente dalla nato … tenendo conto anche del Documento di Washington del 1999 e della nuova dottrina strategica … pur non essendo un trattato in senso formale, ma un semplice strumento di soft law non giuridicamente vincolante»46 [v. oltre].
Per quanto riguarda la legittimità dell’uso delle basi, «qualora si parta dalla premessa secondo cui le basi americane non siano altro che una bilateralizzazione dell’art. 3 del Trattato nato, bisognerebbe concludere che la base dovrebbe essere usata per scopi strettamente difensivi … Ma il reale uso della base smentisce questo assunto. Il concetto di sicurezza si è ampliato e la nato ha ormai intrapreso una serie di missioni che vanno ben oltre la nozione di legittima difesa contro un attacco armato. … Un uso delle basi per fini diversi da quelli stabiliti dal Trattato, sia come missioni Articolo 5 sia come missioni non-Articolo 5, non dovrebbe essere consentito. La prassi però smentisce tale assunto. Durante il conflitto iracheno, la base di Vicenza fu usata …»47. In ogni caso, «dall’obbligo di cooperazione non discende certamente l’obbligo di concedere unna base»48. «Lo stato italiano potrebbe decidere di non partecipare [a missioni non-Articolo 5] e addirittura stabilire che non vengano usati assets nato o usa presenti nel suo territorio. Quando, invece, decide di partecipare occorre che sia pienamente edotto della modalità delle operazioni belliche»49. Sembra pertanto insostenibile, ad esempio, la difesa del governo italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per il bombardamento della Radio-Televisione di Belgrado durante la guerra del Kosovo da parte di aerei decollati dal territorio italiano, con l’affermazione di non essere stato a conoscenza dei piani di attacco.
La concessione della base «per scopi strettamente difensivi» è decisamente discutibile, anche per i pericolosissimi progetti militari nato e usa già ricordati a Vicenza e a Pisa, per non parlare di quelli di Sigonella e Niscemi in Sicilia, che ne fanno una delle basi militari più importanti del mondo, proiettata non solo verso il controllo militare dell’Africa e del Medio Oriente, ma di importanza cruciale per il coordinamento delle operazioni militari su tutto il pianeta (rinvio allo specifico contributo di Antonio Mazzeo nel presente volume). La drammatica attualità di questi sviluppi militari per la nato e gli usa (che dimostra una volta di più che non vi è nessuna differenza sostanziale) è provata dalla partenza da Sigonella del drone che il 20 ottobre 2011 ha colpito il convoglio su cui fuggiva Gheddafi, guidato da una base militare negli Stati Uniti.
Quanto alla segretezza degli accordi militari, «si potranno tenere segrete le clausole strettamente riservate dell’accordo, ma la sua cornice dovrà essere sottoposta alle normali procedure parlamentari e pubblicata in Gazzetta Ufficiale»50.
Da ultimo, «l’istituzione della base non implica alcuna cessione di sovranità territoriale», quindi «il territorio su cui si trova la base, si tratti di basi americane o di basi nato, è territorio italiano … La base non è da considerare extraterritoriale, come se fosse una sede diplomatica»51. In particolare, «ovviamente l’extraordinary rendition non rientra tra gli usi consentiti della base»52.

La mutazione genetica della nato:
proiezione di forza e difesa degli interessi nazionali outer areas

Sarò più breve nell’analisi della situazione più recente, non perché sia più semplice, ma perché riguarda vicende più note a tutti, e che ancor più coinvolgono valutazioni personali (anche su questi aspetti il capitolo di Lau e Giangiacomo nel presente volume sviluppa un’analisi specifica dal punto di vista giuridico-costituzionale).
Dopo la fine della Guerra Fredda la cosa più ovvia che si dovrebbe dire per la nato – sorta come alleanza difensiva nel confronto militare tra i due blocchi – è che non ha più ragione di esistere e deve essere sciolta (come, del resto, è stato sciolto il Patto di Varsavia): non è una conclusione estremista, Giulio Andreotti lo ha detto e ripetuto pubblicamente, anche se può averlo fatto strumentalmente. Il punto cruciale che deve essere sottolineato considerando il ruolo della “nuova” nato oggi è la mutazione genetica che essa ha subito con il Nuovo Concetto Strategico,53 che l’ha trasformata in una cosa completamente diversa, l’Alleanza tra i paesi più forti, nel nuovo panorama unipolare, per difendere i propri interessi e proiettare la propria forza militare al di fuori della propria area geografica54. Stupisce (o forse no) che forze politiche «di sinistra», in Italia e all’estero, malgrado lo sciagurato allineamento con l’Alleanza Atlantica a scopo difensivo, non abbiano riveduto la loro decisione nemmeno quando è mutata radicalmente la sua natura.
Gli effetti disastrosi della «nuova nato», e degli interessi che essa sostiene e cerca di imporre, si sono manifestati fin dagli anni Novanta nelle guerre nella (alla) ex Jugoslavia e nel suo intenzionale smembramento, successivamente nell’intervento militare in Afghanistan, e ultimamente nell’intervento spudorato nella guerra in Libia. Un secondo fronte che ha legato ai progetti degli usa l’Europa è stata la “guerra al terrorismo” dopo l’11/9, e in particolare il coinvolgimento in Afghanistan con la nato, subentrata surrettiziamente all’onu nel comando.
Mi limiterò ad alcuni spunti. Si ricordi il ruolo che proprio la nato ha giocato nel procedere verso l’ulteriore imbarbarimento della guerra, che è sempre meno scontro fra eserciti, ma è diretta alla distruzione del territorio, delle strutture e dell’economia del paese avversario, provocando con incredibile cinismo conseguenze sanitarie ed ambientali che graveranno sulle generazioni future (basti ricordare l’impiego di proiettili ad uranio depleto), ma si espanderanno ad altri paesi, soprattutto a quelli vicini come il nostro: bombardamento degli impianti chimici di Panchevo e Novi Sad, della Zastava, di trasporti pubblici, ospedali, scuole, radio, musei, chiese.
Quanto al coinvolgimento dell’Italia in quella guerra, basti qui richiamare una delle tante esternazioni di Cossiga, sul ruolo che egli avrebbe avuto nello spingere, su mandato di Washington, perché l’incarico di governo venisse conferito a D’Alema, che «sarebbe stato il premier giusto»55; Cossiga parlava anche esplicitamente di azioni coperte di reparti speciali italiani che si infiltrarono in Kosovo.
Il filo rosso degli eventi del Kosovo riconduce quindi alla nato, che ha agito come «braccio armato» di Washington, e ne è il protagonista ombra, contro gli stessi interessi dell’Europa. È stato osservato, a mio parere molto giustamente, che la guerra sferrata alla Libia è stata anche una guerra rivolta contro l’Italia (come del resto nel caso del Kosovo), per scalzare la posizione che aveva acquisito in quel paese Mentre Parigi e Londra hanno cercato con questa impresa di recuperare un ruolo di potenze imperialistiche primarie, soprattutto in Africa, che avevano perduto dalla fallimentare impresa di Suez del 1956: il chiarissimo segnale rivolto alle popolazioni ed alle aspirazioni delle “primavere arabe” ha visto questi paesi come principali autori.
Vorrei portare all’attenzione in termini problematici un punto, sul quale è prevedibile e comprensibile che le opinioni divergano. Nella deriva militarista degli usa con l’incapacità dell’Europa di costituire un fronte diverso – e senza abdicare in nessun modo all’opposizione ad ogni esercito e ad ogni guerra – non sarebbe forse stato preferibile se si fosse realizzato il progetto dell’Esercito Europeo? Mi rendo conto che la questione è molto delicata. Nessuno nega, e tantomeno giustifica, un imperialismo dei paesi europei, che essi manifestano in ordine sparso, cercando di rosicchiare spazi agli usa, come fa la Francia nelle ex colonie africane, o l’ue in Africa o in America Latina, oggi con il protagonismo nella guerra in Libia e forse in future iniziative in Africa settentrionale e Medio Oriente. Personalmente dubito che questo sia preferibile ad un imperialismo europeo esplicito, che per lo meno risulterebbe meno ipocrita, e probabilmente finirebbe per entrare in collisione con quello degli usa, i quali infatti manifestarono la loro forte contrarietà al progetto di un Esercito Europeo
Il ruolo della nato è stato poi cruciale nel determinare lo sviluppo dei rapporti con la Russia, rimanendo, malgrado le contraddizioni crescenti, funzionale alla strategia statunitense, come si è drammaticamente verificato nella disastrosa politica della passata Amministrazione. Dagli anni Novanta l’allargamento della nato, in particolare ai paesi dell’Est Europa, è stata una duplice strategia promossa e sostenuta dagli usa, per stringere un «assedio» alla Russia, condizionando fortemente al tempo stesso la politica europea.
La crisi in Georgia dell’agosto 2008 dimostrò drammaticamente i gravissimi rischi insiti nella spericolata politica di Bush di aperto sfondamento verso Oriente e di assedio alla Russia, dove i precedenti della guerra alla Serbia del 1999 e dell’indipendenza del Kosovo del febbraio 2008 avevano posto, come era ampiamente prevedibile e denunciato, il destro ad interventi di forza e soluzioni unilaterali. Spero che qualcuno abbia pensato con terrore a che cosa sarebbe potuto succedere se la Georgia fosse già entrata a far parte della nato fin dal vertice di Budapest dell’aprile 2008! Risulta sempre più chiaro come il progetto dello «Scudo» antimissile sia un tassello essenziale di questa strategia aggressiva56.
La nato si configura quindi sempre più come una delle chiavi di volta del poderoso sistema militare offensivo post-Guerra Fredda, a guida statunitense, volto a mantenere ed imporre manu militari nel mondo gli interessi dei paesi occidentali che hanno sostituito le logiche del vecchio colonialismo, garantendone al tempo stesso la compattezza e la “fedeltà atlantica” di fronte alle nuove sfide globali.
Un ultimo punto che mi sembra importante ricordare è come la nato stia funzionando da ponte non solo per i paesi dell’Europa dell’Est, ma anche per Israele: in vista di un suo futuro ingresso nella ue che, ancora una volta, non sarebbe da considerare di per se negativo, se l’Europa volesse giocare un ruolo di freno alla follia distruttiva (e autodistruttiva) dell’establishment israeliano.

Ceterum censeo nato esse delendam


NOTE

1 Dipartimento di Fisica, Università di Firenze: angelo.baracca@gmail.com.
2 Termine usato da Aldo Giannuli, a cui va il grande merito di avere fatto emergere questa inquietante realtà dal buio degli archivi, e Paolo Cucchiarelli in Lo Stato Parallelo. L’Italia «Oscura» nei Documenti e nelle Relazioni della Commissione Stragi, Gamberetti, Roma, 1997.
3 Si veda ad esempio lo sfogo di amarezza di Franco Giustolisi, “L’armadio del silenzio”, il manifesto, 9 ottobre 2011, p. 15 (autore di L’Armadio della Vergogna, nuova edizione ottobre 2011). V. anche oltre e nota 22. Su alcune vicende più recenti si può vedere: Guido Amrosino, “Stragi naziste. Sant’Alfano, l’angelo custode”, e Gabriele Heinicke, “Sant’Anna di Stazzema. Colpevoli impuniti, anche grazie le omissioni del ministro Alfano, il manifesto, 8 luglio 2011.
4 Stefania Limiti, L’Anello della Repubblica, Chiarelettere, Milano, 2009.
5 Giuseppe Casarrubea, Storia Segreta della Sicilia. Dallo Sbarco Alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano, 2005; e i più recenti G. Casarrubea e M.J. Cereghino, Tango Connection. L’Oro Nazifascista, l’America Latina e la Guerra al Comunismo in Italia, Bompiani, Milano, 2007; Lupara Nera. La Guerra Segreta alla Democrazia in Italia (1943-1947), Bompiani, Milano, 2009.
6 G. Casarrubea, Storia Segreta della Sicilia, cit., pp. 87, 102-09. Credo che sia importante osservare una differenza fondamentale tra la scelta dell’atteggiamento «morbido» (ibid., p. 26) di Togliatti – certo discutibile, e controverso, ma volto ad evitare una guerra civile simile a quella greca – e l’atteggiamento acriticamente sottomesso e ideologicamente subalterno della «sinistra» attuale, senza nessun nobile progetto.
7 «La mafia [era] ritenuta dagli Alleati il perno del partito dell’ordine», Ibid., p. 39.
8 Ibid., pp. 29, 46, 51.
9 Ibid., p. 72.
10 Ibid., p. 44.
11 Ibid., p. 118; v. anche la successiva nota 39.
12 Ibid., p. 291.
13 Ibid., p. 121.
14 Ibid., p. 147.
15 William Colby, La Mia Vita nella cia, Milano, Mursia, 1981, in Casarrubea, Storia Segreta, cit., pp. 118-20.
16 N. Tranfaglia, Introduzione a G. Casarrubea, Storia Segreta, cit., p. 7.
17 Documento dell’oss, Ibid., p. 149.
18 Ibid, p. 111. È il caso di ricordare che più tardi, al contrario, Tel Aviv sostenne le Brigate Rosse per contribuire alla destabilizzazione dell’Italia quando Aldo Moro perseguì una politica di sostegno ai paesi arabi: ad es. G. Galli, Storia del Partito Armato, Rizzoli, Milano, 1986, p. 114; Limiti, op. cit., pp. 137-38.
19 Raccomando vivamente la lettura del saggio di J. R. Pauwels, Il Mito della Guerra Buona. Gli usa e la Seconda Guerra Mondiale, Datanews, Roma, 2003, che documenta, sulla base di un’imponente bibliografia ma in forma agile e gradevole, le simpatie di imprenditori e politici verso il nazismo, i lauti affari con quel regime, fino agli appoggi concreti che gli usa gli fornirono durante la guerra (dalle forniture di carburante della Esso, la Texaco, la Standard Oil, senza le quali i panzer tedeschi non sarebbero arrivati alle porte di Mosca, pp. 31 e 58, alla fornitura da parte dell’ibm delle schede perforate per “gestire” l’eliminazione degli ebrei, p. 26 e E. Black, L’ibm e l’Olocausto, Rizzoli, Milano, 2001). Sono emersi anche i legami diretti della famiglia Bush con i nazisti e l’olocausto (T. Rogers, How the Bush family wealth is linked to the Jewish holocaust, globalresearh.ca B. Aris e D. Campbell, How Bush’s grandfather helped Hitler’s rise to power, The Guardian, 25 settembre 2004).
20 Pauwels, op. cit., Cap. 14.
21 Ibid., Cap. 9.
22 E. Collotti, Collocazione internazionale dell’Italia dall’armistizio alle premesse dell’alleanza atlantica (1943-47), in L’Italia dalla Liberazione alla Repubblica, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 93. Un’analisi più circostanziata dovrebbe comunque considerare anche i dissensi e i segni di insofferenza nella maggioranza verso una troppo stretta sudditanza agli usa, come quelli di Gronchi, eletto nel 1955 alla Presidenza della Repubblica con i voti delle sinistre: se questi dissensi non sfociarono in vere divergenze politiche, non si può mancare di ricordare il punto di forza del «neoatlantismo» costituito dall’Eni, soprattutto dal suo Presidente Enrico Mattei, con la spregiudicata concorrenza alle «Sette Sorelle» petrolifere. Oltre al «Caso Moro», si può ricordare la carriera politica di Andreotti, indubbiamente ambigua e profondamente coinvolta in tutti gli intrighi della Repubblica, ma sul piano internazionale non supinamente allineata. Sul «neoatlantismo» si può vedere: M. R. Greco, Politica estera italiana e mondo cattolico: la parabola del neoatlantismo negli anni ‘50, in S. Minolfi (a cura di), L’Italia e la nato, cuen, Napoli, 1993, pp. 70-95.
Anche se non direttamente connesso alle decisioni relative all’Alleanza Atlantica, vale la pena, per capire il clima politico di quegli anni e la collocazione dell’Italia, citare ancora una vicenda emblematica (F. Focardi, Criminali di Guerra in Libertà, Carocci, Roma, 2008): nel novembre del 1950 un emissario del cancelliere Adenauer, Heinrich Höfler, incontrò a Roma il segretario generale del ministero degli esteri italiano, conte Vittorio Zoppi, chiedendo e ottenendo la liberazione dei criminali di guerra nazisti condannati in Italia con sentenza definitiva; nel giro di pochi mesi, attraverso decreti di grazia del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, i criminali tedeschi (con l’esclusione di Herbert Kappler e Walter Reder) furono scarcerati e rimpatriati in Germania in gran segreto! Non si è quindi trattato tanto (o solo) di «negligenza» di magistrati militari italiani, quanto piuttosto di una scelta politica che ha precise responsabilità. A questa vicenda è direttamente collegata quella degli «Armadi della vergogna»: Franco Giustolisi, L’Armadio della Vergogna, cit.
23 L. Cortesi, Linee e caratteri della politica estera italiana dopo la seconda guerra mondiale, in Minolfi, op. cit., p. 33.
24 Tutta la vicenda è ricostruita in grande dettaglio in L. Nuti, La Sfida Nucleare, Il Mulino, Bologna, 2007, Cap. 5.
25 Anche questa vicenda è ricostruita in dettaglio Ibid, Cap. 4.
26 D. Vidal, La strategia di De Gaulle nel 1966, «Le Monde Diplomatique/il manifesto», aprile 2008, pp. 12,13.
27 Cortesi, op. cit., p. 66; Limiti, op. cit., p. 110, documenta il ruolo attivo del servizio segreto occulto “L’Anello” per far fuori la sinistra del psi.
28 A. Cipriani e G. Cipriani, Sovranità Limitata. Storia dell’Eversione Atlantica in Italia, Presentazione di S. Flamini, Edizioni Associate, Roma, 1991, p. 31.
29 V. ad es.: G. De Lutiis, Storia dei Servizi Segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1991 (pp. 128 e segg.); G. Tamburrano, Storia e Cronaca del Centro-Sinistra, Feltrinelli, Milano, 1971; Limiti, op. cit., pp. 14-15, 41,121, 133. La dipendenza del Sifar dalla nato è messa in rilievo anche dalla Relazione della minoranza di sinistra della Commissione parlamentare: Nel Nome del Sifar, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, «Il Ponte», 31/1-28/2 1971, pp. 174-175.
30 Franco Juri, La vergogna nucleare, 10.08.2005, osservatoriobalcani.org
31 Documento Finale, xvi Assemblea Generale dell’Associazione del Trattato Atlantico, L’Aja, 25-26 novembre 1970).
32 S. Minolfi, Italia, Europa e Stati Uniti: la nato dal 1969 al 1989, in Minolfi, op. cit., p. 107.
33 Ibidem.
34 Cfr. E. Cerquetti, Le Forze Armate Italiane dal 1945 al 1975, Feltrinelli, Milano, 1975; P. Miggiano, La politica di sicurezza italiana, in M. De Andreis e P. Miggiano (a cura di), L’Italia e la Corsa al Riarmo, Franco Angeli, Milano, 1987.
35 Minolfi, L’Italia e la nato, cit., p. 113.
36 Tra la marea di analisi e documenti, segnalerei il documentato capitolo sul caso Moro nel recente libro di Limiti, op. cit., pp. 175-242. Sembra fuor di dubbio la complicità dei servizi occulti, c’era chi sapeva in anticipo dell’agguato di Via Fani del 16 marzo 1978. È ormai provata la scelta di non volere Moro vivo, soprattutto da parte di Andreotti, che bloccò tutte le strade per la sua liberazione (ma anche il pci volle la «linea della fermezza»). Sulle minacce dagli usa e un possibile tentativo di eliminazione di Moro nella strage dell’Italicus del 1974 vedi p. 177. In una recente intervista Giovanni Galloni ha sostenuto che una volta rapito Moro gli usa fecero in modo che lo statista e la sua politica di apertura al PCI uscissero di scena; gli americani sapevano dov'era Moro ma non aiutarono le indagini (ansa, 07.07.2008, vuotoaperdere.org).
37 L’11 settembre 2011 il Tribunale Civile di Palermo ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento di oltre 100 milioni di euro per 81 parenti delle vittime della strage, per non avere garantito la sicurezza del volo civile della compagnia Itavia, ma anche per l’occultamento della verità con depistaggi e distruzione di atti. La sentenza potrebbe aprire un nuovo percorso per la ricerca della verità, in quanto si attribuisce l’abbattimento dell’aereo a un missile, probabilmente di nazionalità francese o statunitense.
38 I saggi più noti e recenti sulla tragedia sono: Enrico Fedrighini, Moby Prince. Un caso ancora aperto, Paoline Editoriale Libri, 2005; Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari, 1994. L'anno che ha cambiato l'Italia. Dal caso Moby Prince agli omicidi di Mauro Rostagno e Ilaria Alpi. Una storia mai raccontata, Chiarelettere, 2010; Andrea Vivaldo, Moby Prince. La notte dei Fuochi, a cura di F. Colarieti, BeccoGiallo, 2010.
39 La più recente ricostruzione dettagliata della vicenda per l’Italia è presentata da Nuti, op. cit., Cap. 8. Tra l’ampia pubblicistica ci limitiamo a citare: AA.VV., Missili e Potere Popolare, Franco Angeli, Milano, 1986, in particolare D. Gallo, Obbedienza, disobbedienza, resistenza di fronte all’illegalità dello Stato nucleare, Ibid., pp. 303-327; D. Gallo, Gli Euromissili e l’ordinamento costituzionale italiano, «Politica del Diritto», 1984; P. Barile, Abdicazione della sovranità, comunicazione al convegno “Disarmo, diritti umani, autodeterminazione dei popoli”, Firenze, 1984.
40 D. Ganser, nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, Frank Class, London, 2005; «Journal of Strategic Studies», Special Section, Vol. 30, n. 6, 2007.
41 Già il socialista Francesco De Martino affermava: «In tutte queste vicende la struttura che ci viene prospettata come ‘Gladio’ ebbe una sua parte? La mia esperienza mi porta ad escluderlo. Penso invece che al di là, o a fianco, ci fossero servizi segreti più solidi con legami internazionali, per esempio quelli americani che non seguono sempre linee convergenti con quelle del loro governo. Forse sarà facile smantellare ‘Gladio’, ma sarà ben più arduo venire a capo della macchina che ha contribuito a tormentare da venticinque anni la vita politica del nostro paese», G. Corbi, La sciabola di Gladio che domò i socialisti (intervista a F. De Martino), «La Repubblica», 04/12/1990. A conferma v. Limiti, op. cit., p. 101: «Loro [Gladio] giocavano a fare la guerra, noi [l’Anello] facevamo i fatti».
42 Nino Arconte, Il nostro golpe contro Bourghiba, «Limes», luglio 2007.
43 Per l’analisi che segue ci riferiamo soprattutto a uno studio per il Senato della Repubblica che ci sembra piuttosto preciso: N. Ronzitti, Le basi americane in Italia. Problemi aperti, xv Legislatura, Servizio Studi, Servizio Affari Internazionali, n. 70, giugno 2007.
44 Ibid., p. 3: aeroporti di Ciampino e di Aviano, Camp Darby, Longare (Vicenza), Gaeta, Sigonella, osservatorio di attività solare a S. Vito dei Normanni, a cui andava aggiunta La Maddalena.
45 Ibid., p. 7.
46 Ibid., p. 6.
47 Ibid., pp. 7-8.
48 Ibid., p. 4.
49 Ibid., p. 12.
50 Ronzitti, op. cit., p. 5.
51 Ibid., p. 8.
52 Ibid., p. 9.
53 Dal 1991 il Nuovo concetto strategico della nato ha avuto varie riformulazioni, si veda: NATO Strategic Concept 1991, nato.int; ï€ NATO Strategic Concept 1999, nato.int; ï€ NATO Strategic Concept 2010, nato.int.
54 A. Mazzeo, Il sessantesimo compleanno della Nato, 30/03/2009, carta.org; M. Dinucci, Il «nuovo concetto strategico» della nato, «Marxismo Oggi», gennaio-aprile 2009, pp. 144-53.
55 Intervista a Francesco Cossiga, «Il Corriere della Sera», 26.02.2008.
56 Per un’analisi aggiornata rimando alla mia recente rassegna generale: Angelo Baracca, “Il sistema degli armamenti nucleari da Hiroshima all’era Obama: la prospettiva tecnica”, in Chiara Bonaiuti (a cura di), Disarmo e Non Proliferazione Nucleare tra Retorica e Realtà: il Ruolo dell’Europa all’VIII Conferenza di Riesame del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, VI Annuario La Pira Armi e Disarmo, Edizioni Plus, Pisa, 2011.

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