martedì 4 luglio 2017

LA SINISTRA NON C'E' PIU', VIVA LA SINISTRA

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 08/07/2017
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Al di là degli imbrogli dialettici e politici seminati in un clima di permanente campagna elettorale che da un lustro ci perseguita, le elezioni amministrative di giugno, ballottaggi compresi, ci hanno consegnato alcune situazioni sufficientemente chiare, anche se Renzi parla di  «risultati a macchia di leopardo», quasi a voler esorcizzare un Bersani che li smacchia. Si può dire, piaccia o non piaccia a Renzi, che sul piano politico il centrosinistra è il vero sconfitto dell’intera consultazione, e ha subito una sconfitta tattica e strategica che ha lasciato tutto il PD scombussolato dalla testa ai piedi e sconvolto dalla desertificazione della partecipazione al voto nelle regioni rosse, partecipazione che, se un tempo poteva essere descritta come un modello di civismo e un serbatoio di capitale sociale, oggi questa immagine è diventata del tutto inadeguata.
Il M5S è uscito decurtato e smagrito, si è ridimensionato da solo, un “fai da te” nato tra ius soli, firme false, Raggi di qua e Appendino di là, si è insomma auto mutilato, quasi una prova di suicidio di massa ai piedi del suo guru, e i suoi elettori si sono rifugiati nell’astensione o sono fuggiti a valanga a rinforzare il centrodestra pur di battere l’odiato PD di Renzi. Poi, a sua volta, un centrodestra a forte trazione fascioleghista che è risultato unito e vincente, anzi, qualche maligno sussurra in via del Nazareno: “se il centrodestra ha vinto perché si dice che il PD ha perso”, insinuandone problemi di perdita d’identità. 
Ma il centrodestra purtroppo è effettivamente risorto portandosi dietro tutti i fantasmi del passato e aggiungendo i razzismi criminali del presente, rianimando anche l’ex unto del Signore, che ora sembra voler prorompere dalla tomba come un Cristo del Mantegna con in braccio Dudù. Invece la “sinistra sinistra”, fatta di vecchi cespugli e di nuovi germogli, continua a cercare segni e sogni di vita nascente, tra funerali preziosi, come quello dell’amato e tradito Rodotà, e un parterre colmo di generali eccellenti, provenienti da un Jurassic Park post ideologico, di orfani solitari di falci, martelli, belleciao, querce e ulivi duepuntozero, e di quegli irriducibili abbandonati o deposti nelle “ruote degli esposti” dei conventi, a futura memoria. Infine c’è perfino un drammatico vincitore: il partito dell’astensione, che conquista la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, sentenziando così implicitamente che chi ha vinto “per legge” e per ballottaggio, in realtà governerà sì e no con il 20% degli aventi diritto, vale a dire che ci sarà una democrazia azzoppata in mano a una oligarchia di gigli magici o arlecchini servi di più padroni. 
A fronte di queste situazioni c’è chi racconta, con ragioni più o meno oggettive e sfogliando pagine di altre storie, «l’indimenticabile dato di fatto che dopo vent’anni in cui il sedicente centrosinistra ha governato più del centrodestra, l’Italia è diventato il Paese europeo in cui la diseguaglianza è cresciuta di più, l’economia uccide, e si potrebbe fare un lungo elenco delle leggi e delle riforme del centrosinistra che hanno smontato lo Stato progettato dalla Costituzione, e con esso l’eguaglianza e l’inclusione». 
E d’altronde ora anche il renzismo, che per alcuni è sembrato la via d’uscita da tutte le storture e l’inizio della terza Repubblica, sta boccheggiando: e proprio questa di giugno non è solo la terza sconfitta napoleonica per Renzi in un solo anno, dopo Torino e Roma e il provvidenziale flop al referendum sulla sua riforma costituzionale del 4 dicembre scorso, nonostante il costante autolesionismo pentastellato, ma questa Waterloo elettorale delle città capoluogo storicamente considerate “roccaforti rosse” è da considerare, sentito lo stesso Renzi, un de profundis sulle future alleanze con sinistre o sedicenti centrosinistre civiche e/o frontiste. Nessuno dimentica che dalle europee del 2014 il PD a guida Renzi ha collezionato solo sconfitte elettorali destabilizzanti, e che i governi piddini, Renzi 1 e Renziloni 2, sono sopravvissuti, e sopravvivono ad oggi, grazie ai deputati di una cianfrusaglia alfaniana e verdiniana impresentabile perfino ai provati elettori di sinistra della tribù dei “nasi turati”. E guardando anche a ritroso, il PD è stato funesto e letale nell’articolare le proprie intenzioni strategiche. 
Nonostante il beneplacito dell’UE, dei “tecnici”, dei burocrati e dei banchieri, e di Napolitano, e anziché far crescere e aggregare, nel frattempo, le cinquanta sfumature di rosso delle sinistre superstiti, le politiche del PD hanno determinato, invece, come danni collaterali, la nascita e la crescita elettorale dei populismi casarecci, un assenteismo elettorale sconvolgente che lascia a casa mezza Italia, e la riproposizione a presidente della Repubblica di Giorgio Napolitano prima e un Mattarella poi, alla faccia di Prodi, Marini e Rodotà, gettando contemporaneamente salvagenti governativi agli indagati del centrodestra e dilatando a dismisura il contagio liberista nelle proprie scelte economiche. Il tutto a danno delle fasce più deboli, del welfare, della coesione sociale, e a puro vantaggio di banche, prodotti assicurativi e profitti confindustriali agevolati da una riforma del lavoro con sempre meno diritti per i lavoratori. Di più: il PD, Renzi o non Renzi, ditta o non ditta, dopo aver smontato o rottamato pezzi di storia, ha asfaltato o modificato geneticamente tutto ciò che era il “patrimonio” della sinistra, se stesso compreso, vale a dire, la Questione morale, la Costituzione, i Sindacati, l’Anpi, L’Unità, il Lavoro, la Scuola pubblica, i Pensionati, la Pace, l’Ambiente: su quest’ultimo aspetto c’è da rilevare la vergognosa approvazione nei giorni scorsi della legge di riforma sui Parchi e le aree protette. Tutto questo, senza considerare il protagonismo del PD nella politica militare: gli acquisti degli F35, l’aumento delle spese militari (+23%) e il lucroso commercio estero delle armi, anche con gli Stati canaglia. 
Ora questo PD si meraviglia che ci siano elettori demotivati o, se motivati, considerati come avversari, trascurando a priori una necessaria e collegiale autocritica, senza lasciare analisi, fatti e proposte all’uomo solo al comando, col rischio di dare spazio poi a un rapporto privilegiato con Berlusconi o illudendosi che gli elettori grillini possano essere o recuperati o chiusi a chiave nell’astensionismo. In realtà, per quanto riguarda questi ultimi, l’Istituto Cattaneo di Bologna ha avvertito, tramite lo studio dei flussi e degli incroci elettorali in questa ultima consultazione, che gli elettori del M5S, orfani di propri candidati al ballottaggio, o non si sono presentati alle urne, oppure hanno preferito votare per il centrodestra, e comunque contro il PD di Matteo Renzi; mentre dove sono giunti al ballottaggio hanno sconfitto il PD otto volte su dieci. I grillini sono imprevedibili nel comportamento elettorale oltre che inaffidabili sul piano delle alleanze, e si è visto nel corso degli anni il cambiamento del loro comportamento ai seggi: fino al 2012 vivevano una fase movimentista durante la quale al secondo turno votavano prevalentemente e preferibilmente i candidati di sinistra; poi dal 2013 al 2015 sono passati, invece, a una fase cosiddetta identitaria, ovvero ai ballottaggi tendevano a schierarsi per l’astensione e a farsi riconoscere in essa, specialmente i neoelettori grillini delusi dal centrosinistra ufficiale; infine, dal 2016 si è registrata una fase politica, dove gli elettori del M5s non hanno esitato a fare scelte anche controverse giustificandole in nome di una strategia. 
E il PD, ora? Ci ha pensato Veltroni, a dieci anni dal suo Lingotto, a chiarire con poche parole cos’è ora il PD: «...Il PD non ha più un'identità, oggi il partito non è più la forza innovativa e di sinistra che avevamo immaginato. Sembra la Margherita...». Allora, parafrasando Woody Allen, possiamo dire che la sinistra storica è morta, la nuova sinistra non esiste ancora e il centrosinistra non sta affatto bene. 
* Benito Fusco è frate servita dell'eremo di Ronzano. 
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