mercoledì 24 gennaio 2018

IL PAPA NON E’ MAO ZEDONG


di Livio Zanotti


Il Papa rientra dal Sudamerica nelle sue due stanze, bagno e cucina di Santa Marta mentre miliardari e grands commis della finanza mondiale si riuniscono all’annuale Forum di Davos, sulle Alpi. Nella loro agenda, il dossier “Creare un futuro condiviso in un mondo frammentato” e il report del Credit Suisse “Remunerare il lavoro, non il capitale” (sui nuovi ricchi in India, Russia e Cina). Già conoscono i dati che la nota Ong britannica OXFAM gli fa trovare sui tavoli: l’uno per cento della popolazione mondiale controlla il 99 per cento di tutte le ricchezze, un dato che nel ripetersi rischia di apparire uno slogan. Nel 2016, questo stesso uno per cento ha acquisito l’82 per cento dell’incremento netto di ricchezza prodotta.

Francesco torna dal viaggio nelle periferie umane, sociali e geografiche di Cile e Perù, di cui ha salutato le massime autorità -come ovviamente dovuto-; ma trattenendosi essenzialmente con gli “invisibili”: recluse di un carcere femminile con in braccio i loro neonati, le popolazioni indigene che rivendicano le terre dei propri avi dalla gelida steppa patagonica all’Amazzonia subtropicale minacciata da uno sfruttamento -questo sì-, selvaggio, folle sempre enormi e talvolta gigantesche come quella accorsa alla sua ultima messa nella base militare di Las Palmas, a Lima. Sempre ricordando che non esistono superman, siamo tutti “uomini perdonati”, e rivendicando i diritti di ciascuno. E’ retorica populista?

Il Papa in Sud America incontra gli indiosHa guardato dentro al Perù di nuovo spaccato: la liberazione dell’ex dittatore Alberto Fujimori, genocida e corrotto, ha riprecipitato la memoria del paese nelle perverse violenze degli anni Ottanta, le proteste contadine e degli studenti contro l’emarginazione, il terrorismo fanaticamente sanguinario di Sendero Luminoso, le repressioni indiscriminate dell’esercito, i traffici di armi e droga favoriti da Fujimori e dai suoi servizi segreti. Vittime, sempre indios e giovani e donne, i più indifesi. Non abbastanza protetti neppure dalla Chiesa, in cui nell’ultimo quarto di secolo ha avuto un ruolo protagonista l’Opus Dei. Francesco mantiene distanza dalla politica dei paesi di cui è ospite, come dev’essere e la stampa locale ha sottolineato. La scelta degli argomenti e degli interlocutori non è tuttavia significativa?

I sistemi produttivi della società globalizzata in cui viviamo offrono un flusso ininterrotto di comfort materiale a masse crescenti di cittadini-consumatori (più consumatori che cittadini, in quanto definiti dalla loro capacità d’acquisto più che dai loro diritti acquisiti in quanto membri della società). Però inesorabilmente mercificano i rapporti umani e spingono a un’uniformità di pensiero e di comportamenti che espone a rischi maggiori le istituzioni democratiche, la civiltà del pluralismo e della partecipazione. Valori che neppure tutto il pensiero liberale difende (vedi l’estremismo liberista). E nell’ambito religioso le confessioni evangeliche respingono dogmaticamente, per predicare una più che dubbiosa armonia iper-individualista. E’ un dagherrotipo ingiallito?

“Arauco ha un dolore che non può tacere, (son injusticias de siglos que todos ven aplicar…)”, ha detto Francesco ripetendo la celebre Violeta Parra, agli araucani che nel sud del Cile reclamano le terre anche alla stessa chiesa cattolica. “Qui sono avvenute gravi violazioni dei diritti umani ha ricordato durante la messa all’aeroporto di Maquehue, base dei golpisti di Pinochet. E rivolto ai disoccupati: “L’essere umano non è mai un’avanzo…” (dell’economia…) Non devono esistere i “non cittadini o le mezze cittadinanze”, è andato ripetendo con le parole più esplicite, più persuasive. Nessuna delle rassegnazioni cui storicamente la Chiesa ha fatto ricorso, poche metafore e del tutto trasparenti. Una semantica attualizzata alla divulgazione di massa.

Ha pronunciato anche altre due parole-chiave dell’attualità criminale: femminicidio, per la prima volta, condannandolo con orrore; e pedofilia, un tema preso di petto fin dal primo momento del papato e che nondimeno in Cile gli ha provocato uno scandalo senza precedenti. E’ accusato di ipocrisia (non nuova per un gesuita, ma qui dovremmo approfondire il senso in politica di termini come “doppiezza”, “machiavellismo”, etc.), per condannarla e al tempo stesso tenersi accanto un vescovo accusato insistentemente da anni di averla coperta se non praticata. E qui diventa necessario avventurarsi nel carattere dell’uomo Jorge Bergoglio. Un rischio tanto evidente quanto inevitabile, se si è alla ricerca di spiegazioni plausibili.

Il contesto generale è che in Cile (ma com’è noto non solo in Cile) la pedofilia nella chiesa cattolica ha fatto strage di coscienze. I fatti in questione sono che nel 2015 Bergoglio ha nominato vescovo un sacerdote assai discusso, che come numerosi altri era in cordiali e frequenti rapporti con un personaggio a dir poco compromettente. Un teologo preparatore di sacerdoti oggi quasi novantenne, vincolato a gruppi cospiratori del fascismo cileno fin da prima del governo di Salvador Allende, infine espulso (2011) a divinis dalla Chiesa per atti gravissimi e reiterati di pedofilia. Una vicenda che più s’approfondisce e peggio si presenta, da cui restare a distanza sarebbe stato quindi di una prudenza elementare.

Il gruppo di cattolici in contrasto con il Papa, polemizza con lui fin dal momento della nomina. E non si tratta solo di semplici fedeli. Ci sono autorevoli sacerdoti gesuiti, professionisti di prestigio, Josefina Canales, presidente della Federazione Studenti Universitari Cattolici, Marta Larraechea, consorte dell’ex presidente della Repubblica Eduardo Frey, a sua volta figlio di un capo di Stato, dunque erede di una delle famiglie più prestigiose della Democrazia Cristiana cilena, insieme agli Aylwin. Tutti cittadini che ho conosciuto personalmente insieme al collega Franco Catucci, degni del massimo rispetto e fedelissimi della Chiesa. Difficile disfarsene chiamandoli “zurdos” (mancini), un termine particolarmente odioso in quanto fatto proprio a suo tempo dal gergo dei terroristi della Triple A e dei militari golpisti argentini per indicare le persone da sequestrare e uccidere.

Ma Bergoglio è persona di temperamento. Ha detto di non essere mai stato di destra e di considerarsi “un po’ furbetto” (intervista a “Civiltà Cattolica”), mai di essere di sinistra. Il suo tono è assertivo ma in genere non imperioso, anche in Sudamerica ha condannato ogni “tendenza prometeica”. Tuttavia la sua pazienza è missionaria, la mitezza nei principi e la comprensione dell’altro una scelta innanzitutto intellettuale. Nega di essere autoritario, non rinuncia per questo alla sua autorità assoluta. Auspica una Chiesa compassionevole, però anche se volesse non potrebbe comunque cambiarne la natura monarchica. Non è un rivoluzionario ottocentesco e la sola idea di guardie rosse lo mette di malumore: al contrario di Mao, non ordinerebbe mai di bombardare il suo stesso Quartier Generale.

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